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martedì 25 novembre 2014

TADAO ANDO L’ARCHITETTURA TRA TRADIZIONE E CONTEMPORANEITA’



Simbolo di un’arte del progettare “tra estremi opposti”, interpreta l’architettura come espressione del linguaggio della natura e come moto delle emozioni interiori che è possibile percepire con gli occhi e la mente.
Lontano da ogni clichè di antiche o moderne correnti architettoniche, Tadao Ando può essere a ragione considerato l’emblema di un’architettura autonoma e indipendente, fondata sulla concezione di se stessa come “espressione del modo in cui si danno risposte alle domande della natura”, come lui stesso ha dichiarato. L’intervista di Tracce offre l’opportunità di comprendere il significato dell’arte di progettare “tra estremi opposti: occidente e oriente, astrazione e figurazione, storia e presente, passato e futuro”, illustrato dall’architetto giapponese stesso.
Come percepisce la relazione tra architettura tradizionale e contemporanea in Giappone: ritiene che l’architettura contemporanea sottovaluti il valore delle esperienze del passato?
“L’architettura è opera di individui e, in quanto tale, si realizza in un contesto fatto di storia, tradizione e clima. Il rapporto tra natura ed architettura e la relazione tra paesaggio ed edifici nella tradizione giapponese, sono fonti di ispirazione e suggerimenti molto utili nella fase progettuale di una costruzione. Ritengo, comunque, che l’architettura non debba limitarsi a rispecchiare i tempi, ma debba dimostrare una certa autonomia critica dall’espressione del tempo in cui è inserita”.
Come interpreta, invece, la relazione tra l’architettura contemporanea delle grandi metropoli giapponesi e la tendenza dell’architettura globale? 
“Nell’attuale società globale le grandi metropoli di tutto il mondo presentano molti elementi comuni dal punto di vista architettonico, perciò è sempre più difficile realizzare costruzioni con caratteristiche originali di una località o di una nazione. D’altra parte, ancora oggi le mie costruzioni richiedono spesso l’abilità di fornitori di materiali e imprese edili particolarmente competenti, quindi si può affermare che esse variano leggermente in ogni cantiere”.
In architettura, che funzione ha, per lei, il simbolismo?
“L’architettura simbolica è sempre richiesta. Tuttavia, per quanto mi riguarda, non sono molto interessato al simbolismo formale, quanto al valore simbolico della geometria come armonia della razionalità, e del gioco di luce e ombra come percezione dello spazio all’interno di limiti materiali. Per me è importante che uno spazio architettonico, sia interno che esterno, susciti un’emozione persistente nel cuore della gente”.
Che relazione c’è oggi tra architettura e natura?
“L’architettura è qualcosa di vivo. Acqua, luce e cielo immettono in essa la vita. Lo spazio stesso, in quanto luogo naturale, non può prescindere dall’interminabile fluire del tempo. Per questo motivo il rapporto tra natura e architettura è stato fondamentale in tutte le epoche. Forse gli attuali problemi ambientali a livello globale hanno posto l’accento sull’importanza di tornare a soluzioni ecologiche che sono state spesso abbandonate durante l’epoca dell’industrializzazione pesante. L’utilizzo di energie naturali, il risparmio energetico, il riciclaggio dei materiali, rappresentano dei piccoli ma significativi passi in questa direzione”.
I suoi lavori mettono in evidenza l’importanza dell’architettura per la qualità della vita. Come viene applicata questa idea nella realtà dei piccoli spazi individuali delle città moderne?
“Migliorare la qualità della vita è uno degli obiettivi dell’architettura moderna e in questo senso ritengo significativa la partecipazione di un architetto anche in relazione ai piccoli ambienti. Questo, però, non significa solo realizzare opere che rendano l’ambiente più pratico e confortevole, ma anche creare luoghi che possano stimolare l’individualità e la sensibilità dell’uomo. Personalmente cerco di realizzare spazi dove la gente provi quieta commozione che impedisca loro di parlare ad altri di quegli spazi”.
Come è organizzato il suo team di lavoro?
“La mia squadra è composta attualmente da venticinque collaboratori. Considero questo il numero ideale perché io possa avere tutto sotto controllo. Per me è fondamentale mantenere un’organizzazione tale che ogni membro dello staff possa, sotto la mia direzione, partecipare ad un progetto dall’inizio alla fine”.
Cosa ne pensa della definizione di “architetto minimalista” che le è stata attribuita? 
“Visti i dettagli, i minimi materiali utilizzati e le piante basate sulla geometria, è comprensibile che qualcuno mi abbia definito architetto minimalista. Tuttavia vorrei precisare che la mia architettura vuole solo essere espressione di un ambiente ricco di varietà in una struttura semplice. Lo scopo che mi prefiggo è quello di eliminare quanto non è essenziale e di porre le premesse per il fondersi dello spazio con l’esperienza di chi in esso vive. Nel realizzare questo obiettivo mi affido agli effetti degli elementi naturali quali acqua, luce e vegetazione”.

Attualmente quali sono i progetti che la coinvolgono maggiormente?

“Ho molti progetti sia in Giappone che all’estero. Non ritengo che ce ne siano di più o meno importanti, ciascuno risulta interessante sotto diversi aspetti. Ora come ora sto lavorando ad un progetto per la ristrutturazione della Punta della Dogana di Venezia, situata sulla riva opposta di Piazza San Marco, che verrà trasformata in un Centro d’Arte Contemporanea. E’ un progetto di grande valore e significato: si tratta di far rinascere una costruzione storica in tempi moderni”.
C’è un’idea che le piacerebbe sviluppare, un progetto che la stimola particolarmente e che desidererebbe realizzare? 
“In questo momento sostengo in diverse località del Giappone alcune attività di infoltimento degli alberi, come, per esempio, quelle della Fondazione dell’Olivo di Setouchi e dell’Associazione Satura per la Passeggiata Heisei. Inoltre aderisco alla campagna di raccolta fondi per Umi-no-Mori (Foresta sul Mare). Sono dell’idea che gli architetti debbano dedicare all’ambiente la stessa attenzione che prestano alla costruzione di edifici. Queste attività ambientaliste sono, per me, un dovere sia in quanto individuo che in quanto architetto”.
Ha mai impiegato materiale prefabbricato? Crede che sia vantaggioso farne uso?
“Sì, in caso di necessità ho impiegato materiale prefabbricato in cemento. Ritengo che ci siano molti vantaggi sia economici che pratici nell’utilizzare materiale di questo tipo, sempre che ne sia garantita la qualità. Si pensi, per esempio, al tempo risparmiato nel settore della costruzione in serie. Oggi il mercato della prefabbricazione ha fatto passi da gigante, finalmente si possono utilizzare prefabbricati in cemento per la realizzazione di qualsiasi tipo di costruzione”.

domenica 23 novembre 2014

Il Bosco Verticale di Milano vince l’International Highrise Award

Il «Bosco verticale» di Milano, progettato da Stefano Boeri, docente di Urban design al Politecnico di Milano, ha vinto l'International Highrise Award 2014. 


È quindi il grattacielo più bello del mondo.
Tra i cinque finalisti del premio internazionale anche l'edificio «De Rotterdam» disegnato da Rem Koolhaas, «One Central Park» di Sydney e «Renaissance Barcelona Fiera Hotel» progettati da Jean Nouvel e il complesso cinese «Sliced Porosity Block» di Chengdu disegnato da Steven Holl.
«Bosco Metropolitano» è stato progettato per essere un simbolo della simbiosi fra natura e architettura grazie alle sue due torri residenziali di 80 e 112 m di altezza (27 e 19 piani, 113 residenze totali) in grado di ospitare 800 alberi fra i 3 e i 9 metri di altezza, 11.000 fra perenni e tappezzanti, 5.000 arbusti, per un totale di oltre 100 specie diverse: un corrispettivo di 20.000 metri quadri di bosco e sottobosco che densificano in altezza il verde nella città.
«Sono molto contento - dice Boeri - perché il premio che è stato assegnato al Bosco verticale rappresenta un riconoscimento all'innovazione nell'ambito dell'architettura. È un invito a pensare all'architettura come un'anticipazione del futuro per ognuno di noi, non solo come l'affermazione di uno stile o di un linguaggio. Il BoscovVerticale è una nuova idea di grattacielo, in cui alberi e umani convivono. È il primo esempio al mondo di una torre che arricchisce di biodiversità vegetale e faunistica la città che lo accoglie. Sono felice per Milano, per Expo, e ringrazio chi ha promosso e sostenuto il nostro progetto, a partire da Hines Italia e dalle associazioni del quartiere Isola».
Il Bosco verticale è disegnato e progettato da Boeri Studio (Stefano Boeri, Gianandrea Barreca, Giovanni La Varra) e realizzato nel quartiere Porta Nuova-Isola a Milano da Hines Italia SGR insieme a Coima, che gestisce anche le attività di property management. Il Premio, nato nel 2003 dallo sforzo congiunto della città di Francoforte, del Museo dell'architettura di Francoforte e di DekaBank, è riservato a opere che raggiungano almeno i 100 m di altezza e che siano state terminate negli ultimi due anni. Sostenibilità, design e qualità degli spazi interni insieme all'integrazione nel contesto urbano di appartenenza sono i criteri seguiti per la selezione.



























domenica 16 novembre 2014

Emilio Ambasz – Casa de Retiro Espiritual – Siviglia

“E’ un’architettura che è e non è. Spero di condurre l’utente in nuovo stato dell’esistenza, una celebrazione della maestà urbana, del pensiero e della percezione. Sebbene appaia innovativo, questo progetto presenta strutture primitive e antiche. Il risultato è un edificio che racchiude l’essenza dell’architettura”.
E l’essenza dell’architettura Ambasz la trova su una collina di ulivi, dove due pareti poste ad angolo retto esaltano la sommità. Un portale posto sullo spigolo segnala l’ingresso; sopra di esso un mashrabiya – un sistema di raffrescamento passivo tipico delle zone del Nordafrica e del mondo arabo – incornicia il paesaggio andaluso. L’accesso al mirador avviene tramite due scalinate ripide aggrappate ai due muri.
La casa è interamente ipogea e solo i lucernai nel terreno ne fanno percepire la presenza. Il patio d’ingresso, a pianta quadrata, e il patio più privato di forma ovale forniscono la luce necessaria agli ambienti interni. Questo progetto vede il rispetto nell’uso dei materiali della tradizione del luogo, una sagace reinterpretazione ne rende ancora oggi un progetto attuale.
Espressione della semplicità architettonica, pioniera di una filosofia legata a progetti energeticamente efficienti, la casa de ritiro spiritual ha avuto numerosi riconoscimenti tra cui il Progressive Architecture First Award e l’AIA Award.
“Credo che il reale compito dell’architettura inizi una volta che i bisogni funzionali e comportamentali siano stati soddisfatti. Non è fame, ma amore e paura, e qualche volta meraviglia, che ci fanno creare. Il contesto sociale e culturale dell’architetto cambia costantemente ma il suo ruolo resta sempre lo stesso: dare forma poetica a esigenze pragmatiche”.
Architetto: Emilio Ambasz
Localizzazione: Siviglia, Spagna
Cronologia: 1975 – 1978
Committente: Roda S.L.
Foto: casaderetiroespiritual





















Paulo Mendes da Rocha – Casa Butantã – San Paolo

La Casa Mendes da Rocha è situata a Butantã, un quartiere oltre il fiume Pinheiros, realizzato secondo i principi della Garden City e, da sempre, occupato dalla borghesia paulista. Il progetto per l’edificio, una residenza privata per l’architetto e la sua famiglia, risale alla metà degli anni sessanta, alla prima parte della carriera di Paulo, quando cominciava già ad essere conosciuto per un serie di opere interessantissime, quali, la Palestra del Clube Atletico Paulistano, la Sede Sociale del joquei Clube di Goias e l’edicio Guaimbe a Sao Paulo. La casa, apparentemente inaccessibile, si configura immediatamente come un volume stereotomico, totalmente in calcestruzzo armato, che insiste su un terreno che ancora conserva l’antica con gurazione topogra ca, antecedente le successive lottizzazioni e che, fra l’altro, fa in modo di mantenere quel legame originale con la Casa Museo prospiciente, la Casa do Banderante.
Il terreno è un lotto d’angolo, rivolto ad est, di fronte ad un esuberante spazio verde, fra la Praça Monteiro Lobato e la Rua Joao de Ulhoa Cintra. La casa stessa è interamente circondata da una vegetazione rigogliosa e ricca, tipica di un contesto tropicale ( São Paulo è situata sul Tropico del Capricorno ). La prima impressione di invalicabilità è subito smentita: aggirato il terrapieno di ubicazione, un varco di accesso sul lato sud, conduce sino al piano terra della residenza, che si rivela sospeso rispetto alla quota del lotto e sorretto, con i suoi 320 metri quadrati di supercie planimetrica, includendo gli importanti sbalzi laterali brise-soleil del coperto, da quattro pilastri in calcestruzzo armato. Due murature delimitano il limite sico di due dei lati del perimetro quadrangolare del lotto, mentre, altri due discreti elementi delimitano la rampa di accesso. Il piano terra in se è caratterizzato da un modesto volume circolare, destinato alla portineria e ai servizi, localizzato all’interno dell’area di parcheggio per le autovetture; sul fondo, una scala dalla preziosa e leggera eleganza, nonostante sia di calcestruzzo, che, sfuggendo dalla nettezza del volume incombente, eleva sino alla quota interna, domestica dell’abitazione.
Praticamente, un unico volume sospeso, al quale si accede dalla piccola scala sul fondo del giardino e che racchiude un unico grande spazio. Gli spazi abitativi, veri e propri, sono tutti ricavati dalla suddivisione del perimetro compatto del piano sospeso. Questo piano fuori terra è totalmente vetrato, sui lati ovest ed est, anche se tutto questo non appare subito evidente all’esterne perché parzialmente negato dalle perentorie travi pareti laterali, a sbalzo, di irrigidimento perimetrale.
La casa di Paulo possiede tutta la radicalità irriducibile del volume sospeso, suddiviso internamente con una sapienza ed una eleganza magistrali: i diversi ambienti domestici sono delimitati e divisi da sottili diaframmi in calcestruzzo che, con la loro unitarietà, si piegano ogni volta a formare il mobiliario sso e le zone più intime delle stanze da bagno. Queste, assumono quasi la consistenza di schermature, realizzate con una rete metallica elettrosaldata, che, con uno spessore inferiore ai dieci centimetri, non toccano mai il solaio di chiusura superiore, costruito secondo una orditura primaria fatta di travi 35 x 20 cm, che scaricano sui quattro pilastri, con aggetti esterni di 3,7 metri circa. L’orditura secondaria fatta da una tta rete di sottili travi da 7 x 50 cm e con un interrasse di 1,07 m e che, sui lati est e ovest, si prolungano sino a raggiungere un aggetto di 5 metri, dando luogo a degli apparati che schermano la luce solare e orientano la vista sino a traguardare il paesaggio circostante. La copertura che è possibile leggere nel suo sviluppo complessivo, diviene così uno dei protagonisti spaziali dell’abitazione, i cui ambienti paiono indi erenti a qualsiasi proiezione psicologico-a ettiva. I vani della casa, infatti, sono all’apparenza austeri ed impersonali, spazi senza nome che chi li abita è chiamato ad inventare a seconda delle sue esigenze, dove tutti gli elementi di impiantistica sono lasciati a vista, in modo che sia “cosi più facile aggiustarli, se necessario.
L’atmosfera che viene determinandosi all’interno ricorda quella di una foresta, uno spazio in continuo divenire, in cui ci sembra di perdere ogni referenza. La luce penetra in maniera filtrata, differenziata e drammatica all’interno della casa, attraverso i lucernari, posti sull’area centrale di servizio, attraverso le nestre a nastro continue, che illuminano gli ambienti principali e si caratterizzano per il particolarissimo sistema di chiusura artigianale e, infine, per basso attraverso una intercapedine, sui lati perimetrali opposti a quelli delle vetrate.
L’abitazione è stata pensata quale prototipo, un archetipo, sistema iterabile slegato da qualunque compiacimento autoreferenziale. La casa è parte integrante e fondante della struttura urbana. Abitare inteso come convivenza, attraverso la tecnica che determina, de nisce la pertinenza dello spazio architettonico.

L’architettura di Paulo Mendes da Rocha ha questa grandiosa capacità di essere specica senza perdere la sua valenza universale di spazio essenziale fatto dall’uomo, per l’uomo, nella natura. La limpida tettonica, la struttura e la copertura misurano lo spazio, ordinano e rivelano la geografia, rendendolo un luogo della vita umana.
Mendes Da Rocha mette in pratica nella forma più estrema la convinzione che abitare sia prima di tutto un fatto sociale, dove ognuno accetta la convivenza con gli altri senza muri, sulla base del rispetto umano, dove i mezzi che accompagnano questa auspicata condizione esprime la rivendicazione del primato dell’essere sull’avere, sul possedere cose – e la sua architettura è li a interrogare, a chiedere agli uomini cosa vogliano essere, come vogliano abitare le loro case,
città, territori.
Mendes Da Rocha unisce all’interpretazione lirica dello spazio destinato alla vita, la dimensione etica di ogni suo atto progettuale. La sua è una architettura che, ogni volta, interroga coloro che partecipano alla costruzione di quegli spazi che accolgono la contemporanea civilizzazione. Essi possiedono la possibilità di a darsi alla precisione della tecnica ma debbono piegarla alla necessità di << sostenere l’imprevedibilità della vita. Lo scopo dell’architettura è salvare dal disastro >>.
Architetto: Paulo Archias Mendes da Rocha
Localizzazione: Butantã, San Paolo, Brasile
Committente: Paulo Archias Mendes da Rocha
Cronologia: 1964 (progetto) – 1967 (ultimazione)
Immagini: Nelson Kon e Stefano Passamonti